Urlo, viaggio, non potrei fare altro. Non conosco altro modo. Odio questo modo di fare, di partire, per liberarsi da un peso insopportabile. Un viaggio non risolve niente, sposta solo scatoloni vuoti. Incredibilmente unici da riempire e da scoprire, ma assurdi se chiusi con mille giri di spago, che fanno sembrare il tutto un infinita ragnatela.
Tu mi hai abituato a questo stato, a questa maledetta sensazione che comunque sempre si è da qualche parte. Io non voglio essere da qualche parte; non mi interessa.
Tutti i viaggi possono essere quelli giusti, nessuno quello perfetto; con fatica sono con te, qualche volta ti accompagno. Non partecipo, non posso farlo, forse non mi interessa farlo. Vorrei fermarmi ma non trovo il coraggio, non trovo il fiato; anche per fermarsi serve fiato, serve il coraggio per frenare… Frenare spesso vuol dire poi cambiare marcia. Spesso, noi, mantenendo quella alta, quella che in qualche modo ha spostato velocemente pensieri ed azioni, non siamo stati in grado di farlo. Le marce possono aumentare la velocità, ma anche le marce vanno capite… sentite… altrimenti a che cazzo servono.
Ecco, dicevo, frenando bruscamente, lo stomaco viene catapultato in gola e soffochi. Forse non trovo il tempo per poterlo fare, capisco che questo in realtà potrebbe essere un tuo limite. Sì, anche tu non vuoi fermarti; non vogliamo, non avremmo più scuse. È da una vita che viaggi e non conosci altro modo per vivere. Sei quasi smaniosa di viaggiare. Qualche volta sei in astinenza: questa sensazione è quella che mi trasmetti. Mai e poi mai fermarsi. Spesso i viaggi sono di una noia mortale, ma meglio di niente.
Guardarsi fa paura, eppure da qualche parte, dentro di noi, sento che… sento che serve, sì, potrebbe servire, potrebbe aiutarci. Sarebbe meraviglioso. Immagino il momento, sudati, affaticati, carichi di inutili pesi… fermarsi, respirare, pausa. Respirare… pausa. E in quel secondo tutto si muove tutto; è in movimento, tutto.
Già non è più uguale e noi lo sentiamo, lo capiamo, lo aspettavamo. E poi guardarsi e dirsi: basta! Così, basta. Raccontami, raccontiamoci tutto, davvero tutto, davvero quello che siamo… e niente più.
Come se fosse uno dei primi giorni di scuola alle elementari, quando in realtà rispondi solo all’appello di quella signora che non è tua madre e che ripeterà per tante altre volte il tuo nome.
Mi porti via, mi porti con te. Io vorrei venire così, con quella leggerezza che spesso non mi vuole e non mi riconosce. Dai, facciamolo per noi. Fermiamoci; poi arriverà un conto, ma non pensiamoci subito.
Abbiamo comunque imparato che, in qualsiasi caso, i conti arrivano; mal che vada sarà un conto salato.
Senza la pretesa di aver capito tutto, solo con lo stupore che finalmente abbiamo intravisto qualcosa lontano, qualcosa di nostro, di bello, di silenzioso.
Qualcosa che sappia di noi, che odori delle nostre paure, che sappia di desiderio. Di nuovo, anzi, dai, che sappia di stupefacente scoperta.
Molliamo le paure, gettiamo via tutto.
Io lo farei per te, lo farei per me, lo farei.
Un giorno noi lo faremo, sai?
Nel silenzio dei miei pensieri provo ad amarti, qualche volta penso davvero di farcela. Sì, mi sembra di averti più vicino dell’ombra stessa che, in questo momento, solitaria, accompagna i miei pensieri.
Mi piace questa sensazione, mi rassicura molto.