Dialogo con Paolo Mezzadri
Tratto da: https://www.ivanpaterlini.it/component/easyblog/dialogo-con-paolo-mezzadri?Itemid=101
Nino scritto ieri…ti amo tutti i secondi ma non saprei come amarti per un minuto
Paolo Mezzadri: Mi sono emozionato molto leggendo il tuo articolo sulla mia opera “Il gioco e il tempo”. Come se avessi il telepass per arrivare all’anima della mia arte; mi ha provocato un senso di benessere: ho capito che non si è mai totalmente soli perché a diverse stratificazioni e consapevolezze, apparteniamo. Per un artista che ha perso la fede da molto tempo, non è poco.
Ivan Paterlini: cosa intendi dire Paolo “ho perso la fede”?
P: Anzitutto è il titolo che vorrei dare ad una mia opera futura che sto immaginando. E’ una questione apparentemente contraddittoria. Ho perso la fede perché sono diventato adulto e questo ha interrotto il mio rapporto con i sogni e la magia per la vita. I sogni sono così delicati che non puoi raccontarli a tutti, poi però c’è la mia opera che è intrisa di sogni e di desideri più o meno consapevoli. Potrei dirti che la mia opera resiste quando dico di aver perso la fede, resiste in me una fede inconscia, penso.
I: Spesso ci sono immagini così indelebili (nel bene e nel male) e formative nelle nostre biografie che non accettano revisioni, resistono e si difendono in entrambi i sensi: mantengono e perdono la fede. Poi penso alla dimensione umana dell’essere che non si può né cedere né scambiare con nulla. Resiste istintivamente.
P: Sì, mi pare azzeccata. Nella via della mai infanzia a Cremona, quotidianamente salutavo le tante persone che sentivo appartenere alla mia vita, mi riconoscevano e io mi sentivo parte di quella via/vita. Dal meccanico, alla Bice, al colorificio, all’edicolante per le figurine e loro si interessavano veramente alla vita di quel bambino che poi è diventato un adolescente, un giovane adulto…ora non c’è più nessuno. Ora è tutto chiuso, o meglio, è tutto uguale.
I: Sembrerebbe esserci una doppia malinconia: del passato e del futuro. P: Forse la malinconia delle piccole cose e degli scarti. La mia opera è fatta anche di scarti e di puntelli. Io penso che la psicoanalisi si caratterizzi principalmente nella valorizzazione degli scarti, scarti preziosi. Sono le opere che amo di più. Ho dedicato buona parte della mia ricerca e dei miei scritti a dimostrare che l’analisi si fonda su un processo dinamico-creativo ed estetico in senso etimologico. Un po’ come i materiali che usi nella costruzione delle tue opere.
P: Si…in “ho perso la fede” vorrei utilizzare il lino. Lino come materiale leggero, come seconda pelle, un viaggio, il profumo delle spezie, consumato, tagliato, ordinato sopra strutture sgraziate in ferro. Lo sto immaginando così: lino come stratificazioni di fragilità. Nelle mie opere la fragilità è immensamente presente. Ma anche dei tavoli di legno lunghissimi e sopra migliaia di barattoli con dentro lettere: una, mille. I nostri pensieri e le nostre narrazioni non scadono mai, devi solo cercare il tuo barattolo, non si deteriora nulla, non so come, ma ci sono. Queste sono le prime idee.
I: Penso alla vulnerabilità e alla fragilità di quel bambino di cui parlavi, sempre aperto al cambiamento e alla vita. Ma anche alla fragilità come una questione ontologia, che appartiene costitutivamente all’umano. La tua opera Radice parla proprio di questo se non sbaglio.
P: Esatto! L’ho presentata in questo modo: ” Immagino tempi dove le fragilità possano diventare virtù e dove le pieghe, le curve e le disagevoli mulattiere dell’anima diventino percorribili racconti e incontri”.
I: La sensazione fisica che si ha a contatto con il tuo materiale, con la tua materia, sembra mettere insieme il vuoto e il pieno, l’ineffabile. Nelle tue opere si sente la presenza fisica e corporea del ferro e della terra.
P: l’opera non parla solo della biografia, parla di tanto altro e gode di ampia autonomia, però in questo caso il ricordo di mio nonno fabbro mi pare troppo evidente e forte. Mio nonno batteva il ferro, faceva il maniscalco e il fabbro. Mi diceva che il ferro non fa rumore se lo batti bene, ascoltandolo non sentivi dissonanze perché lui lo batteva piatto il ferro. Il ritmo che trovava era straordinario. Ho ideato anche un’opera che parla di lui, di noi.
I: Paolo, tu lavori in un posto straordinario, un castello, il castello di Montanaro. Ho l’impressione che tu lo stia difendendo con la tua arte dall’oblio e dall’abbandono.
P: Io vivo in un castello abbandonato del 1070 con ottanta stanze che da 1945 al 1975 fu un educatorio che ospitava bambini, soprattutto orfani che imparavano anche un lavoro. Sento i bambini che corrono e chiedo loro d’essere benevoli con me perché non sono li per saccheggiare, ma per creare. Ho bisogno di vuoti e non di pieni accatastati e solo in quel posto posso trovarli. Questo castello è un bambino che mi aspetta, sempre, per giocare. Per me il gioco è un motore creativo e mi commuove. È tutto così gratuito e autentico.
I: Nelle tue opere, si sente l’urgenza e la necessità di un ritorno a un’etica autentica, che riesca a far coabitare l’uomo col suo limite senza l’anestesia e la narcosi delle cose senza ricordi, del tutto intercambiabile, del troppo pieno bulimico della società contemporanea. Guardo la borsa di lavoro di Paolo, dove conserva bozze, schizzi estemporanei, pensieri che passano. E’ straordinaria: serissima ma nello stesso tempo improbabile, con una maniglia di ferro; gli chiedo se posso provarla. Sento nella mano sensazioni di dolore e di piacere, di leggerezza e pesantezza, di antico/antichissimo e di futuro, sento in un dettaglio la presenza di un artista alla ricerca di un linguaggio condivisibile, soprattutto con i tanti bambini dentro ognuno di noi.
ARTE!
Giovedì 9 marzo 2023, Corso Genova 28, Milano
Fondata nel 2004 da Federica Ghizzoni con il nome Spazioinmostra, la galleria si è sempre dedicata alle più recenti ricerche nell’ambito dell’arte contemporanea. La particolare attenzione ai nuovi linguaggi visivi che, dalla fine degli anni ’90 fino ad oggi, sono stati dei protagonisti simbolici in ambito italiano e internazionale, è stato un focus preciso e accurato della galleria. Federica Ghizzoni ha infatti ricercato, sperimentato e messo in mostra artisti di matrice pop e di provenienza della street art toccandone i più diversi media.
Mistero è la parola chiave per questa mostra al castello di Montanaro
che fin dall’undicesimo secolo ha visto il susseguirsi di casati importanti, se ne contano almeno cinque, che dentro a queste mura hanno attraversato settecento anni di storia, fino a quando il castello fu utilizzato come base d’appoggio dalle truppe austro-russe durante la campagna d’Italia contro Napoleone.
Nel novecento, durante il fascismo, viene ceduto alla G.I.L (Gioventù Italiana del Littorio), prima della nuova destinazione a carattere assistenziale, che ha avuto il merito di istruire e avviare al lavoro i ragazzi rimasti orfani a seguito della guerra. La quantità di posizioni anche contraddittorie che il castello ha assunto in più di un millennio di storia hanno caricato di fascino la struttura, capace di alimentare fortemente l’immaginazione degli artisti.
La mostra, organizzata dall’associazione 21 di Lodi, in collaborazione con la famiglia Spaggiari, nuovi proprietari del castello e grandi mecenati d’arte, presenta il lavoro di 23 artisti, che senza un tema, senza una vera e propria curatela, sono stati chiamati ad allestire la propria stanza, con il loro linguaggio unico e con metodi comunicativi differenti. Oltre alla distanza espressiva delle varie opere, tra pittura, fotografia, installazione, disegno e scultura, si aggiunge quella generazionale, in cui vengono rappresentate tutte le decadi, dagli artisti giovani a quelli con un passato importante in Italia e all’estero.
Le stanze del castello, tutte a loro modo intriganti, hanno stimolato la creatività degli artisti, che all’interno della loro abituale ricerca hanno trovato un posto per entrare in dialogo con l’edificio, per continuità o per contrasto, permettendo alla struttura di ritrovare i fasti di un tempo. Il pubblico in visita alla mostra è chiamato a molteplici sollecitazioni: il peso storico e le sue vicende umane, la suggestione architettonica del castello con le sue stanze decorate e le “iSTANZE” contemporanee degli artisti. Impossibile uscire indifferenti da questo evento.
Castello di Montanaro – Comune di S.Giorgio Piacentino – Orari: Domenica, dalle 11:30 alle 18 e su appuntamento INFO: Roberta Castellani 3382531126
Tredici Storie di eccellenze italiane
Truly Italian Roots, Ed. Rizzoli, si propone come una raccolta di emozioni e di racconti, narrati da personaggi che condividono con Gaggia la stessa curiosità e la stessa passione per la qualità.
Il ferro come materia, il fuoco come elemento, la passione come motore, la scultura come sfida, Nino come alter ego che racconta Paolo. L’universo creativo di Paolo Mezzadri affonda le sue radici nella tradizione artigiana del nonno maniscalco e specialista del ferro battuto. Prende poi forma nell’azienda di famiglia legata alla lavorazione delle lamiere di metallo e si nutre delle immagini fantasiose che affiorano alla mente dell’artista/artigiano che, fin da bambino, sognava di fare l’archeologo esploratore.
Il suo lavoro di imprenditore e la sua formazione scolastica, “fatta di numeri, formule, rette e parallele”, come racconta, “si stavano mangiando un po’ alla volta
Paolo”. Così ha cominciato ad ascoltare “le lettere e i pezzi di scarto del ferro” e la voce di Nino, quel personaggio alternativo e fuori dagli schemi che gli risuonava in testa.
“Ho iniziato a usare il ferro per lavoro e non per passione.
La passione è arrivata dopo, quando per me il ferro era ancora un pezzo, un numero, semplicemente un grande contenitore con un codice, una targhetta e, talvolta, un ciclo di verniciatura. Molte volte mi sono perso guardando pezzi tutti uguali… anzi conformi, come spesso mi veniva detto, tanto uguali e tanto perfetti da non avere un’anima.
Disegnati per essere usati e non per essere guardati, per essere puliti e non per essere annusati.”
Il suo percorso di scultore si ritrova nelle stanze del Castello di Cadeo – o Cadio, Cà Deo – risalente al 1300: un luogo importante sulla via consolare Emilia e una tappa del percorso francigeno tra Piacenza e Fidenza. Qui, nel silenzio della campagna piacentina, rotto solo dal rintocco delle campane che segnano le ore e dal cicaleccio delle oche che si muovono come una falange bianca rumorosa e disordinata, alloggiano i suoi pezzi d’affezione. Da una stanza all’altra, il percorso accoglie le sue sculture come le diverse versioni della Radice in ferro grezzo che si alza in un equilibrio instabile fino a quasi 3 metri di altezza…
Crediti
Ph. Stefania Giorgi Instagram @giorgistefi
Videomaker. Leonardo Mariani Instagram @leomariani18
Testi. Laura Maggi Instagram @lallimaggi
Azienda. Gaggia Instagram @gaggiamilano
Monica Milanovich Instagram @milkmo2010
Claudia Viola Instagram @cla.viola
Casa editrice. Rizzoli International Instagram @rizzolibooks
Paolo Mezzadri: Nasce a Cremona nel 1966 dove vive e lavora
Dopo una lunga esperienza lavorativa nell’azienda di famiglia, nel 2010 decide di intraprendere un percorso nuovo e sicuramente molto creativo ed apre prima MyLab Design ed in seguito Metallifilati.
Come recita il nome stesso dell’azienda ” il sogno” è di poter realizzare, vivere e condividere emozioni partendo dalla semplicità del gesto… il gesto di un laboratorio mentale (e non solo), dove provare, sperimentare, incontrare ed attraversare elementi concreti con elementi assolutamente visionari. Partecipa ad Euroflora e al Salone Nautico di Genova con elementi d’arredo ed oggettistica, al MACEF, al Fuorisalone di Milano e ad Home Garden di Milano, con oggetti che si caratterizzano per varietà di proposta.
Il punto di partenza è il ferro: la sua origine e la sua storia, personale e artistica. La forza è il punto d’arrivo: in mezzo forme piegate, contorte, tagliate, concave e convesse, levigate o arrugginite. Paolo Mezzadri è attratto dallo “sbaglio di natura” per dirla con Montale, da quell’anello che non tiene e che fa andare oltre, fa scoprire ciò che la materia tiene tutto per sé e svela solo ai più attenti, ai curiosi, a chi non teme la rivelazione.
Le lettere: facile chiamarle lettere, facile pensare che siano solo parti di un codice comunicativo. Chi lo dice che le lettere dell’alfabeto sappiano sempre cosa dire? Si aggrovigliano, a volte, le lettere dell’alfabeto: dentro di noi, nella nostra testa, nel nostro cuore e vorrebbero dire ma non ci riescono, perchè spesso quello che hai dentro è così urgente che vorrebbe uscire tutto insieme e allora le lettere non fanno in tempo a scrivere, a scriversi… Le lettere di Paolo Mezzadri spesso sono in caduta libera o si aggrovigliano o sono inscritte in squadrati cubi assemblati in un’installazione che parla di esami, della sensazione di essere sempre sotto esame e di non voler più stare a questo gioco disumano del “chi è il più bravo”.
E allora si urla: quando non se ne può più, si urla da un megafono tutto ciò che si ha in corpo e l’urlo si deposita e si deforma, anzi si fa forma, contorta, piegata dall’urto/urlo, dolore che diventa solido, voce che si fa ferro e che si piega con la stessa forza di un enorme pugno nello stomaco. Perchè spesso l’urlo, per farsi sentire, davvero, prima deve farsi vedere, deve rendersi tattile, deve fare male, deve essere fisico, deve farsi materia e poi farsi sentire, in un paradossale gioco sinestetico.
E solo quando l’urlo si è fatto vista e udito insieme, quando ha dato sfogo a tutta la sua fisicità, solo allora l’urgenza espressiva lascia il posto alla sedimentazione, all’ironia affilata, al rasentato, garbato sarcasmo degli omini in scalata, delle forme umane che a fatica cercano di alzarsi e camminare su una superficie che sembra trattenerle. Essi sono la riflessione su ciò che siamo, urli a parte. Trappole intrappolate in una società che ci pone costantemente sotto esame, che ci vuole rampanti, poco importa se baroni o no, e che ci riduce a fragili esseri informi nel magma dei nostri stessi pregiudizi, ironicamente leggeri nella nostra scalata, altrettanto ironicamente in equilibrio instabile nella nostra imminente, rovinosa caduta.
È uno sguardo disincantato sulla realtà, sul nostro frenetico arrabattarci che ci fa perdere continuamente tempo, che non ci fa vivere il presente presi come siamo dall’ansia per il nostro futuro; uno sguardo ironico e benevolo su quell’esserino piccolo piccolo che è l’uomo per cui Mezzadri nutre il più grande, smisurato amore.
MOSTRE PERSONALI
Realizza per il gruppo IMPREGILO, il segnalibro in occasione della presentazione del tracciato della nuova tangenziale esterna di Milano; ha esposto a Febbraio 2012 all’evento “Arte Cremona”, nel 2013 alla manifestazione “Arte Piacenza” e ultimamente alla mostra di “Arte Accessibile” di Milano.
Ha collaborato con il comune di Paratico e i suoi “Giocolieri” ora arredano lo splendido lungo lago.
Nel novembre 2014 si è tenuta la sua prima mostra personale negli spazi della Fondazione San Domenico di Crema.
Dal 1 maggio al 18 ottobre 2015 partecipa a Summer Art, presso il JW Mariott Venice Resort & Spa sull’Isola delle Ros,e nella laguna di San Marco a Venezia – Progetto Venezia 2015: Sculture nel Parco (mostra collettiva).
Dal 29 agosto al 20 settembre 2015 ha partecipato con alcune opere all’VIII Biennale di Soncino. Le sue opere sono esposte in modo permanente negli spazi di una vecchia Filanda a Soresina (Cr).
Dal 10 Ottobre all’8 Novembre 2015 ha partecipato alla mostra Real Visuali a Savona.
Dal 3 al 15 Dicembre 2015 URBAN HUB COLLECTIVE : “Please leave your world here” alla Fabbrica del Vapore, a Milano.
Dal 12 al 14 Marzo 2016 ARTE Cremona, fiera d’arte contemporanea e moderna
Dal 22 al 30 Ottobre 2016, “Situazioni Contemporanee”, a Villa Tasca, Brembate (Bg)
Dal 26 Ottobre al 28 Novembre 2016, “Talk is Cheap”, presso Spaziocorsocomo9, a Milano.
Dal 11 al 13 Marzo 2017, “Arte Cremona 2017”.
Dal 26 agosto al 24 settembre 2017 Biennale di Soncino anche per il 2017, la IX edizione.
25 agosto – 23 settembre 2017, Centro Formazione Arti Visive, Piazza Guerrazzi, Cecina (LI), IL PESO DELLE COSE a cura di Francesco Mutti
Il 29-30 settembre ed il 1 ottobre 2017. Progetto: Dehor Design Your Horizon Ad Oticolario, Villa Erba, Cernobbio (Lago di Como)
Novembre-Dicembre 2017 Lettere Fuori Luogo, Pikidi Arte, Via Damiano Chiesa, Cremona
8 dicembre 2018 – 10 gennaio 2019 Art Adoption New Generation 2018 in collaborazione con Cortona Sviluppo con il patrocinio del Comune di Cortona IL GIOCO è il TEMPO AUDITORIUM SANT’AGOSTINO via Guelfa, 40 Cortona (Ar)
Dal 6 aprile al 19 maggio 2019. Parma 360 Festival della creatività contemporanea,
Dal 6 luglio al 30 settembre 2019 Tempo Limitato Storie di cose e di incontri non sempre casuali Pietrasanta (LU)
Settembre 2021 Parma Città D’Oro
Settembre 2021 in Sicilia a Noto, Art In The Bin
Dal 1 marzo al 25 marzo 2022 Galleria Federica Ghizzoni, Milano. La fragilità non inquina
Dal 29 settembre al 20 ottobre 2022 Lausanne Art Fair 29 Sep 2022 – 02 Oct 2022 https://www.art3f.fr/en/lausanne-art-fair-en/
Dal 2 al 5 febbraio 2023 BOOMing Contemporary Art Show, Bologna.
Dal 14 al 16 aprile 2023 art3f, Zurich. Internation Contemporary Art Fair.
Maggio 2023 Galleria Federica Ghizzoni, Milano. Together
28 Settembre – 1 Ottobre 2023 Lausanne Art Fair, 6a Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea
La nuova, terza, edizione di BOOMing Contemporary Art Show torna dal 2 al 5 febbraio negli spazi di DumBO, il distretto culturale che sorge negli spazi dell’ex scalo ferroviario Ravone, durante Art City Bologna, con il racconto dell’ultima generazione, delle donne, dei ragazzi in protesta contro l’emergenza ambientale, e di tutti coloro che si preparano al futuro in un’epoca di precarietà e crisi permanente.
[…] Con la terza edizione di BOOMing si apre un capitolo importante, il nostro obiettivo è sempre stato quello di dare spazio all’arte emergente, nel senso letterale del termine: emergente come urgente, ma anche come momento critico che porta a un cambiamento necessario. La nostra fiera vuole dar voce, attraverso gallerie, associazioni e le varie realtà di ricerca più ibride e all’avanguardia, che si rivedono in questa definizione, a tutti quegli/lle artist* che riflettono sulle tematiche dell’urgenza come quella ambientale, del gender gap e quella delle nuove generazioni che sono quelle di un futuro tout court.
BOOMing Contemporary Art Show torna dal 2 al 5 febbraio, durante Art City Bologna
Truly Italian – PASSION: Paolo Mezzadri
Like a poet, the “Rust Man”, as he defines himself, creates iron pieces to which he entrusts a deeper meaning, a soul capable of revealing emotions and feelings. Sculptures of eternal beauty in which to get lost and find yourself. Watch the video to delve into the art of Paolo Mezzadri.
La Poltrona di Nicoletta, intervista all’artista Paolo Mezzadri
Sulla Poltrona di Nicoletta l’artista Paolo Mezzadri, in mostra alla Galleria Federica Ghizzoni di Milano con “La fragilità non inquina”
Le mie sculture scelte da Amelio per la loro storia
Il Signore delle formiche e il Castello di Montanaro
Tra le immagini che ci sono maggiormente rimaste in testa de “Il signore delle formiche”, il film di Gianni Amelio dedicato ad Aldo Braibanti, spiccano quelle girate nel Castello di Montanaro, che ricostruiscono la comune organizzata dal poeta nel Torrione Farnese di Castellarquato, negli anni ‘70. Insieme alla perfetta location, Amelio e il suo staff hanno avuto la fortuna di trovare, già allestita, una mostra dell’artista cremonese Paolo Mezzadri, che attualmente espone al Castello di Cadeo…
nell’azienda agricola di proprietà dell’Opera Pia Alberoni, condotta dalla famiglia Lambertini.
Mezzadri ha iniziato a lavorare il ferro per lavoro, nell’azienda di suo padre, e solo dopo, a quarant’anni, è arrivata la passione per l’arte, la scrittura, la fotografia, e una diversa lavorazione del ferro (un progetto, “Nino, storie di un uomo che
non ha capito nulla”, che insieme alle fotografie è stato presentato al
teatro Parenti a Milano e che forse diventerà uno spettacolo teatrale). I suoi sono tutti pezzi unici, e sono stati esposti in mostre, fiere d’arte, eventi, Fondazioni, in momenti personali e collettivi.
Come nascono i suoi pezzi?
«Mio nonno era maniscalco e io da bambino lo vedevo lavorare il fer-ro e mi sembrava una divinità, come il retro delle cinquanta lire. Un mestiere di famiglia che poi è diventato una produzione industriale, della quale ho sempre amato gli scarti. Ho lavorato in azienda trent’anni, e alla fine il metallo per me è diventato qualcos’altro, una ricerca di equilibrio, di una fascia di luce».
Al link qui sotto, trovi l’articolo completo
L’articolo di La Libertà, del 29/09/2002
La fragilità non inquina
1 marzo 25 marzo 2022
galleria Federica Ghizzoni, Milano
“La fragilità non inquina”: il titolo ci immerge nell’effetto che la fragilità imprime nella costruzione dell’umano. Questo effetto ci conduce dentro un fenomeno evolutivo che riguarda ognuno di noi, e che sa rammemorare i diversi passaggi della vita, a partire dalla nostra nascita. Una sorta di lutto originario precoce che si ripresenta per tutta l’esistenza: una cicatrice originaria che i metalli arrugginiti, utilizzati dall’Artista per le sue opere, evocano. Qualcosa che resta e che va costantemente attraversato e rinnovato.
Ecco che “l’inutile” dell’arte di Mezzadri, con i suoi oggetti totalmente effimeri e “dimenticati”, si fa massimamente utile: l’utilità dell’inutile si rivela di un’importanza essenziale per la vita, salvandola e difendendola, perché ogni cosa a cui si dà valore può diventare forma, come lo sguardo sulla ruggine di Mezzadri.
Fragile è il nostro corpo che sin dalla nascita per poter uscire, aprirsi al respiro e mettersi in contatto con il mondo ha bisogno di rotture, di ferite. I materiali di Mezzadri, fatti di tondini grezzi e di lamiere arrugginite, sembrano rotti come la rottura di una ferita capace di aprirsi al contatto con il mondo. Nasce in questo modo la nostra relazione con la vita, che si nutre anche della relazione con il mito: gli eroi della tradizione occidentale presentano tutti connessioni con lesioni e fragilità che li guidano con coraggio verso visionarie traiettorie. Il loro talento pare associarsi più alla fragilità che alla forza, così come l’intuizione più profonda si accosta alle nostre maggiori limitazioni. Quella ruggine commuove perché sa raccontare una lotta estenuante, sino all’ultimo respiro, con la materia e con l’inevitabile impermanenza di tutti gli esseri viventi; racconta l’urto violento con le turbolenze della realtà che, attraverso l’opera e il gioco, si trasforma in poesia e bellezza.
Mezzadri usa materiali poveri, dimenticati dalla società, scarti inaccettabili, inguardabili, come la luce abbagliante di tutte le cose veramente preziose. Sa parlare leggero di un corpo greve, di una passione che descrive un martirio, e nel contempo sa evocare immagini primordiali che assorbono diverse tradizioni iconografiche.
Con i suoi materiali negletti e feriti, crea un contrappunto armonico fatto di tanti brandelli di un reale mai avvicinabile totalmente perché troppo scabroso e incandescente. Tratta la materia che plasma come se fosse musica da comporre, la sua musica, facendoci ascoltare soprattutto il silenzio e il vuoto come possibilità generative.
Nel lavoro di Mezzadri c’è un culto del recupero della memoria che interviene direttamente sulla materia senza inquinarla, dove Eros e Thanatos vivono di un giusto equilibrio, unificando i frammenti dentro la forma delle sue opere. La vita si può ricomporre attraverso narrazioni poetiche. L’Artista non ci conduce mai verso una materia informe, bensì riporta la materia a una dignità plastica fatta di forme quasi perfette, come se fosse una finzione sacra, come lo è il gioco, e forse l’amore.
Fragili sono i luoghi che abitiamo e Mezzadri ne sa inventare un inedito senso della vivibilità. Crea paesaggi che parlano di un altrove, dove il pensiero si unisce al sentimento di un tempo passato più che mai presente. I luoghi che immagina sono un altrove che sa unire, connettere, ma soprattutto contenere e restaurare una parola lontana che, con flebile voce, sussurra i segreti dell’esistenza, mai totalmente svelabili. Luoghi che dilatano e compongono un’imprevedibile idea, un desiderio mai sopito: luoghi che, come i sogni diurni, uniscono il visibile con l’invisibile.
Le sue opere “invisibili” creano uno splendido ossimoro connesse ai materiali impiegati. Esse si avvertono primariamente con i sensi, poiché com-prendono un corpo emozionale che sa parlare di un’origine, di un primo ricordo, di quel primo sguardo filtrato da una sensibilità di fanciullo che, nonostante tutto, si ostina a creare mondi possibili, fragili, che non inquinano…
Ivan Paterlini