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Il gioco è il tempo

“Il gioco è il tempo” istallazione in ferro di Paolo Mezzadri nel cortile interno dell’Antica farmacia di Parma, è un’opera sublime, se per sublime intendiamo l’interdipendenza di luce e ombra in ogni accadimento umano.

Sublime perché sa destare sentimenti legati al limite del tempo, del tempo che ci rimane e di quello trascorso pro-vocati dall’antico e decadente edificio che ospita e accoglie l’opera, insieme al gioco come gesto infinito che si ripete e si ricrea istintivamente per ogni bambino che si affaccia alla vita; un sentimento di impotenza si alterna al punto di massima estensione illusoria in cui il gioco si affaccia al baratro senza rompere l’incantesimo della vita.

Levinas scriveva che il soggetto è ostaggio. È ostaggio del suo corpo,  è ostaggio della vecchiaia e della caducità. Le soluzioni per evitare la prigionia sono multiple: dalla follia che non accetta e inventa un altro gioco, incomprensibile.
Nabokov in “Un paese sinistro”  dona la follia ad un personaggio per sollevarlo da un’angoscia atroce, quel pensiero dominante che sa escludere il mondo.
Tolstoj nel racconto “le memorie di un pazzo” narra la stessa fuga, le stesse dinamiche. I meccanismi difensivi sono un’altra soluzione:  rimuovono la consapevolezza d’essere prigionieri attraverso anestesie e dipendenze che assumono centralità e “senso”.

E poi Il gioco, dinamica che creando, ferma il tempo nell’esercizio della sospensione. Ognuno di noi conserva in sé quel luogo magico di creazione e di sospensione che a partire da un’inquadratura dal basso (la visione del bambino) reagisce al mondo, prolungando un paradiso perduto attraverso un gesto, estetico.
È quel luogo che Mezzadri ci sollecita a ri-contattare. L’occhio del poeta è l’occhio che sa attraversare il limite trasformandolo, così come l’occhio del bambino sa reagire al troppo grande e pericoloso trasformandolo. Il gioco quindi come assenza di tempo perché non invecchia mai, come l’arte del resto. Nel tempo del gioco, il tempo nulla può.

Scrive di sé Paolo Mezzadri: “Il ferro per me profuma di nostalgia e quello arrugginito di storia. Ho spesso trovato nel contenitore delle non conformità… quello con la targhetta rossa, così chiara e visibile da essere insopportabile, un senso anche per me… ecco io sono una “non conformità”. Inizio così la mia storia, una storia nata con i pezzi di scarto… Immaginando e provando… Sbagliando tantissimo, forse troppo, ma mai con metodo.”

La possibilità quindi di dislocarci, di aprire lo sguardo verso inediti riflessi, inventarci una nuova vita, nuove possibiltà, passa nel saper riconoscere lo scarto del collettivo, il fuori campo, il piccolo. Lo sviluppo di uno sguardo periferico è ciò che sollecita soprattutto l’opera di Mezzadri, che a partire dal ferro, materia che sa resistere e nello stesso tempo arrendersi al tempo, ci obbliga a vedere negli anfratti della vita, nelle fessure, nei luoghi dove lo sguardo fatica a posarsi e a pensarsi…ma questa, tra le tante, è proprio la funzione dell’arte e del gioco. 

Ivan Paterlini

Posted in: News, Uncategorized Author: Paolo Mezzadri

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